Dal 25 maggio 2018 il GDPR (Regolamento UE 2016/679) è pienamente applicabile in tutta l’Unione Europea. È un cambio di paradigma epocale nel modo in cui le aziende trattano i dati personali. Ma, a distanza di anni, molte PMI italiane si trovano ancora in una sorta di limbo: formalmente coscienti dell’obbligo, ma sostanzialmente inadempienti.
Queste riflessione hanno l’obiettivo di esporre, con chiarezza e profondità, le falle più gravi nella gestione del GDPR da parte delle PMI, andando oltre la superficie e indicando con precisione cosa manca, perché è importante e cosa fare per rimediare.
1. Registro dei trattamenti: oltre la formalità
Il registro dei trattamenti è lo strumento principe per mappare come un’azienda tratta i dati personali. Tuttavia, è spesso compilato con superficialità o non aggiornato. Nelle PMI, capita di trovarne uno creato da un consulente esterno e mai più toccato. Questo è un errore strategico: il registro non è un documento da conservare per un controllo, è uno strumento vivo. Serve a rendere tracciabile, documentabile e razionale ogni trattamento eseguito. Deve contenere: categorie di interessati, finalità, base giuridica, soggetti destinatari, tempi di conservazione, misure di sicurezza e, se possibile, valutazione dei rischi.
2. Informative: l’anello fragile della trasparenza
Le informative devono essere specifiche, comprensibili e riferite a ciascun trattamento. Troppe PMI usano documenti precompilati trovati online o ricevuti da fornitori senza verificarne la coerenza. Le informative non aggiornate o incoerenti espongono l’impresa a gravi rischi: per esempio, se si dice che i dati vengono conservati per 12 mesi e poi restano per 3 anni, si configura una violazione. È obbligatorio prevedere informative diverse per dipendenti, clienti, utenti web e fornitori.
3. Consenso: tra mito e malinteso
Il consenso non è la panacea. È solo una delle basi giuridiche del trattamento (art. 6 GDPR) e non è neppure la più solida. Eppure le PMI lo utilizzano spesso in modo errato, ad esempio obbligando alla firma del consenso per trattamenti che sarebbero legittimi già sulla base contrattuale. Peggio ancora: i consensi raccolti non sono tracciabili, né revocabili facilmente. La validità del consenso dipende da: libertà, informazione, specificità, granularità e prova documentale. Serve un sistema digitale per la raccolta e gestione dei consensi, con meccanismi per revoca e storicizzazione.
4. Sicurezza dei dati: tra sottovalutazione e incoscienza
Le misure tecniche e organizzative previste dall’art. 32 GDPR devono essere “adeguate al rischio”. E qui emerge uno dei problemi più gravi: le PMI non conducono analisi del rischio. Non segmentano accessi, non controllano log, non applicano backup cifrati, né aggiornano i sistemi. L’assenza di piani per la gestione di data breach o ransomware è allarmante. Serve un piano minimo: antivirus, backup, crittografia, policy di accesso, gestione dispositivi mobili, registri di log e una cultura della sicurezza diffusa.
5. Data breach: un tabù che costa caro
Quando si verifica una violazione dei dati personali, ogni ora conta. Le PMI spesso non sanno cosa configurerebbe un data breach, né chi dovrebbe intervenire. La notifica al Garante deve avvenire entro 72 ore. Questo richiede: un sistema per identificare incidenti, un registro dei breach, una checklist interna e la possibilità di dimostrare le misure adottate. Anche se non notificabile, ogni violazione deve essere registrata internamente. L’omissione, in caso di verifica, è sanzionabile.
6. Formazione e consapevolezza: un dovere ignorato
Il personale rappresenta la prima linea nella protezione dei dati. Eppure, nella stragrande maggioranza delle PMI, i dipendenti non ricevono alcuna formazione formale sulla privacy. Questo va contro l’obbligo del titolare di garantire che chiunque tratti dati sia adeguatamente istruito (art. 39 GDPR). La formazione deve essere documentata, ricorrente (almeno annuale) e proporzionata al ruolo aziendale.
7. Privacy by design e by default: cultura assente
L’articolo 25 GDPR impone che i principi di protezione dei dati siano integrati ‘sin dalla progettazione’ nei processi, prodotti, software, servizi. Le PMI spesso ignorano questo principio perché lo ritengono applicabile solo a grandi sviluppatori IT. In realtà, anche il lancio di un nuovo gestionale, l’introduzione di un CRM, o l’attivazione di telecamere implica l’obbligo di privacy by design: valutare i dati trattati, limitarli allo stretto necessario, e configurare default protettivi.
Conclusione: Il GDPR è un sistema, non un modulo
La compliance GDPR non si ottiene con un documento nel cassetto. È un processo dinamico, strutturato, proporzionato al contesto ma rigoroso nei principi. Le PMI possono essere pienamente conformi senza costi eccessivi, ma serve consapevolezza, continuità e un minimo di pianificazione. Trascurare la privacy oggi significa compromettere competitività, fiducia e reputazione domani.
Vademecum operativo GDPR per PMI
- Nomina un referente privacy: Identifica una figura interna (anche non formalmente DPO) con ruolo chiaro e supporto da parte della direzione.
- Redigi il registro dei trattamenti: Documenta finalità, basi giuridiche, destinatari, conservazione e rischi. Mantienilo aggiornato.
- Rivedi e personalizza tutte le informative: Assicurati che siano chiare, coerenti, distinte per tipologia di interessato.
- Analizza ogni trattamento: Verifica se davvero serve il consenso o se puoi usare un’altra base legale.
- Implementa misure di sicurezza proporzionate: Dall’antivirus alla segmentazione di rete, dalle policy di accesso ai backup.
- Crea un piano per i data breach: Definisci ruoli, strumenti di monitoraggio, canali di notifica e log degli incidenti.
- Forma il personale: Incontri periodici, esempi pratici, test di comprensione. Tieni traccia della partecipazione.
- Applica la privacy by design: Ogni nuova iniziativa (digitale o fisica) deve essere valutata sotto il profilo della protezione dati.
